lunedì 17 dicembre 2007

Diamanti insanguinati


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IL VERO COSTO DEI DIAMANTI

La campagna di Amnesty International.

All'inizio del 2000, Amnesty International - insieme ad altre organizzazioni - ha lanciato la campagna mondiale sui diamanti insanguinati: da allora, l'espressione "Un diamante è per sempre" suscita in molti un sentimento di inquietudine e di istintiva repulsione, tant'è che sembra essere stata accantonata dalla De Beers che la utilizzava nella propria pubblicità.
Consumatori, produttori, commercianti di gioielli e oreficeria hanno scoperto che potrebbero essere stati inconsapevolmente implicati in uno dei conflitti che hanno devastato - e ancora devastano- una larga parte del continente africano (soprattutto Angola, Sierra Leone, Liberia, Repubblica Democratica del Congo).
I diamanti estratti - spesso da civili obbligati sotto la minaccia delle armi - nelle zone controllate da gruppi di ribelli armati sono, infatti, la principale fonte di finanziamento per l'acquisto delle armi e dell'equipaggiamento militare che alimentano queste guerre, causando grandi masse di sfollati, omicidi, stupri, mutilazioni, uso di bambini soldato.

L'Onu ha bandito, a luglio 2000, il commercio di armi in Sierra Leone e sottoposto quei diamanti a controlli. Il Consiglio d'Europa ne ha vietato il commercio fino all'inizio del 2002. A distanza di quasi due anni, si continuano a raccogliere i frutti di questo lavoro:
• il 22 giugno 2001, il Consiglio mondiale dei diamanti, che presiede alla commercializzazione di tutti i diamanti grezzi, Amnesty International e altre associazioni hanno espresso in una dichiarazione comune il loro sostegno al "Clean Diamonds Act", introdotto dal Senato degli Stati Uniti per proibire l'importazione dei diamanti provenienti da zone di conflitto e imporre gravi sanzioni a chi li commercia;
• il 5 luglio scorso, i rappresentanti di 34 governi e della Commissione europea hanno concordato a Mosca le linee generali di un sistema internazionale di certificazione dei diamanti grezzi in modo da escludere dal commercio il contrabbando;

Un risultato dovuto in massima parte al lavoro infaticabile e spesso poco appariscente di centinaia di migliaia di persone nel mondo, che per mesi e mesi hanno inviato lettere e appelli a governi, istituzioni intergovernative, aziende, commercianti, sensibilizzato l'opinione pubblica. Esponenti del business dei diamanti a tutti i livelli sono stati chiamati - anche nelle fiere specializzate del settore come Vicenza Oro del giugno 2000 - a garantire che non commerciavano in "diamanti sporchi". In questo modo, consumatori grossisti e gioiellieri hanno cominciato a fare domande scomode ai propri fornitori. La De Beers, che controlla quasi i due terzi del commercio mondiale - dopo alcuni lunghi silenzi e un imbarazzato comunicato del marzo 2000 - ha dovuto impegnarsi a eliminare dai propri acquisti i "diamanti insanguinati".
Un lavoro iniziato nel 1991, quando Amnesty ha denunciato -inascoltata - i rischi insiti nelle vicende della Sierra Leone: il traffico illegale di armi e il loro uso per gravi violazioni dei diritti umani, la piaga dei bambini soldato, l'impunità concessa ai responsabili di gravi crimini contro l'umanità.

Diamanti insanguinati: la situazione oggi.

Nonostante gli sforzi fatti e i risultati ottenuti in seguito alla pressione dell'opinione pubblica con la Azione di Crisi sulla Sierra Leone effettuata lo scorso anno, uno dei problemi che stava alla base di quella azione (i diamanti) continua a non avere ancora una soluzione, anche se si sono fatti certamente dei passi avanti, e di non poco conto.
La nostra Sezione ha partecipato all'azione Sierra Leone nella primavera/estate del 2000 con delle azioni mirate prevalentemente al settore economico, ed accompagnate da importanti interventi nel campo del commercio delle armi e dei bambini soldato. Alcuni risultati di rilievo sono stati ottenuti a livello internazionale, come il blocco della importazione di diamanti grezzi dalla Sierra Leone, l'inizio del processo di studio per la certificazione, l'impegno di operatori economici del settore a far sì che anche il commercio internazionale e le aziende di lavorazione dei diamanti grezzi fossero vincolate a costo di pesanti sanzioni ad accertarsi sulla provenienza effettiva delle gemme.

1) Il "Kimberley process"

Sul piano tecnico (quello degli sforzi per far sì che i diamanti grezzi esportati dalla Sierra Leone venissero accompagnati da una certificazione ineccepibile) il risultato più apprezzabile era stato raggiunto con la costituzione di una Commissione tecnica che mettesse a punto un processo di certificazione (chiamato "Il procedimento Kimberley", dal nome della città sudafricana con un ruolo chiave nella estrazione e nel commercio dei diamanti).
Il "Kimberley process" è stato costituito su iniziativa del Sudafrica da rappresentanti di governi, organizzazioni internazionali (ONU), numerose Organizzazioni non governative, e operatori economici del settore diamantifero, per arrivare alla definizione di un sistema di certificazione dei diamanti grezzi che possa garantire la provenienza da legittimi impianti di estrazione. L'obbiettivo è quello di fermare il commercio illegale di questi diamanti, che costituisce la principale fonte di finanziamento per l'acquisto delle armi che alimentano i conflitti e provocano le conseguenti gravissime violazioni dei diritti umani.
Nella riunione del Comitato tenuta a fine Novembre 2001 in Botswana è stato definito un quadro complessivo di riferimento per la certificazione, che comincerà ad essere applicata a metà 2002 e sarà pienamente effettiva alla fine del prossimo anno. E' prevista un'altra riunione a fine Marzo 2002 in Canada per proseguire nella messa a punto del sistema di controllo e certificazione. Esistono infatti ancora delle obiezioni di metodo e di principio da parte di un gruppo di ONG che hanno partecipato attivamente ai lavori (Action Aid, Amnesty International, Fatal Transactions, Global Witness, Oxfam International, Partnership Africa Canada, Phisician for Human Rights, World Vision) e che hanno richiesto specifiche più stringenti sui paragrafi 13,14 e 15 della VI Sezione della procedura: in particolare, sulla raccolta dei dati relativi all'estrazione, sul meccanismo di coordinamento e sulle regole che presiedono all'attività di monitoraggio.
In ogni caso bisogna far sì che l'Assemblea dell'ONU nella sessione primaverile del 2002 non solo sancisca la necessità di regole precise, approvando comunque un sistema di certificazione, ma anche che l'Assemblea chieda al Consiglio di Sicurezza di rendere vincolante la normativa per tutti gli Stati membri.
Sostengono le necessità di questi rigidi controlli alcuni Stati -soprattutto africani- come Sudafrica, Botswana, Namibia che sono forti produttori di queste pietre (questi tre stati insieme producono grezzo per 4 miliardi di dollari), e temono i possibili contraccolpi negativi sul mercato per effetto di campagne di controinformazione e boicottaggio, e anche i protagonisti economici del mercato come la De Beers, il Consiglio Mondiale dei diamanti, l'Associazione Internazionale dei Produttori di diamanti.
Alcuni grossi paesi - invece - sono restii a introdurre la certificazione obbligatoria: ad esempio gli USA, che acquistano il 65% dei diamanti venduti in tutto il mondo (anche se proprio gli USA hanno approvato a fine Novembre 2001 il "Clean Diamond Trade Act" che impone controlli alla importazione di diamanti provenienti da zone di conflitto), o la stessa Russia, produttrice di gemme grezze per quasi 2 miliardi di dollari. Forti resistenze si registrano implicitamente anche da parte di paesi come Israele e India che effettuano lavorazione e taglio di gemme grezze rispettivamente per oltre il 25% ed il 40% del totale mondiale.
Senza l'approvazione da parte del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, che darebbe alla procedura il crisma della obbligatorietà, non ci sarebbero controlli né certificazioni.
Il Presidente di turno del Consiglio di Sicurezza, l'Ambasciatore Moctar Ouane del Mali, in un comunicato stampa del 13 Dicembre scorso, ha sottolineato con rincrescimento come - nonostante l'embargo sui diamanti illegali decretato dal C.di S. il 5 Luglio del 2000 con la Risoluzione n. 306- in Sierra Leone sia il RUF che la Civil Defence Force (CDF) continuano a disporre di denaro ricavato dalla vendita di armi e ha espresso l'auspicio che si possa arrivare presto ad un valido sistema di certificazione.
Il Consiglio dei Ministri dell'Unione Europea, infine, l'11 Gennaio scorso ha deciso di prorogare il divieto della importazione di diamanti grezzi dalla Sierra Leone fino al 5 Dicembre 2002, salvo quelli la cui origine è certificata dai governi.

2) La posizione di A.I.

Nei contatti con esponenti politici e governativi, operatori del settore, diplomatici, AI ha sottolineato come il commercio illegale dei diamanti costituisca un facile sistema per coloro che vogliono sfuggire alla trasparenza delle transazioni commerciali e possa diventare una potenziale fonte di riciclaggio di denaro sporco per gruppi armati.
Recenti articoli sulla stampa internazionale hanno infatti evidenziato come negli ultimi tre anni anche Al Qaeda o l'Alleanza del Nord in Afganistan potrebbero avere utilizzato questo canale tramite la Liberia di Charles Taylor, importando gioielli dalla Sierra Leone e pagandoli al RUF con armi, cibo e medicine. AI non ha elementi per confermare o smentire questa tesi: ma è certo che il solo fatto che se ne parli (v. "Il Sole-24 Ore" del 26 Novembre 2001, pag. 3) costituisce di per sé un buon motivo per bloccare il commercio dei diamanti illegali.
Con questa azione a risposta rapida si allarga l'orizzonte geografico ad Angola, Repubblica Democratica del Congo (RDC) e Liberia, paesi nei quali il rifornimento di armi utilizzate in gravi abusi dei diritti umani è reso possibile dal commercio illegale dei diamanti grezzi e di altri materiali preziosi: già nello scorso mese di Settembre, la Direttrice della Sezione Italiana ha inviato un appello al Presidente del Comitato Kimberley, affinché i lavori giungessero rapidamente alla conclusione da noi auspicata.

3) Cosa chiede Amnesty International

La nostra richiesta è chiara: chiediamo un controllo sull'origine dei diamanti che istituisca
• Un sistema di certificazione indipendente e trasparente; sia esso quello risultante dal "Kimberley process" o un altro.
• Provvedimenti legislativi a livello nazionale coerenti con la normativa adottata a livello internazionale e diretti al controllo del commercio dei diamanti sia all'interno dei vari paesi, che sull'import/export;
• Una procedura che impedisca acquisti di armi ed altri equipaggiamenti militari (che si assume possano essere utilizzati per commettere abusi dei diritti umani) pagati con i ricavi della vendita di diamanti grezzi provenienti da zone di conflitto.
Non chiediamo invece un generico boicottaggio di tutti i diamanti, né di quelli provenienti da Angola, Sierra Leone e RDC.

Sul procedimento di certificazione chiediamo che:
• Sia approvato dal Consiglio di Sicurezza delle NN.UU. in modo da essere quindi vincolante per tutti gli Stati membri;
• Preveda un sistema trasparente e indipendente di verifica sia per i grezzi estratti ed esportati dalle miniere (allo scopo di accertare se provengono da miniere situate in zone di conflitto), che per quelli oggetto di prima importazione (es. dalle miniere alle aziende che li tagliano e lavorano), che di seconda importazione (dalle aziende di lavorazione ai commercianti o grossisti o fabbriche di gioielli);
• Preveda regole per emettere dei certificati di esportazione, o certificati di garanzia che, oltre a dichiarare il paese di origine, assicurino che i diamanti non provengono da zone di conflitto;
• Preveda un sistema di registrazione delle quantità prodotte, e di quelle importate ed esportate da ogni Paese.


fonte: http://web.tiscali.it/amnestybergamo/campagne/diamanti.htm


4 commenti:

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